Le vite cancellate

Quando un orrore come l’omicidio di una ragazza da parte del padre ci tocca da vicino, la necessità di trovare un perché, di capire la verità, di attribuire delle responsabilità si fa sentire più forte; ma allo stesso tempo c’è l’urgenza di agire con cautela, di non strumentalizzare i fatti, di rispettare le vittime.
Alessia Gallo, 33 anni, lavorava presso il pub Kofler, a Padova, molti di noi l’avranno sicuramente vista e conosciuta.

Dalle dichiarazioni degli amici, rilasciate dopo la tragedia, emergerebbe uno scenario inquietante: la ragazza era lesbica e il padre apertamente omofobo. Sembra che la ragazza già anni fa avesse tentato di farsi accettare dal padre e di fargli conoscere “un’amica speciale”, ma lui non ne avrebbe voluto sapere niente. A dispetto di questa forte tensione Alessia aveva continuato a vivere con il padre, anche se ormai era economicamente indipendente. Forse l’affetto nonostante tutto era troppo grande ma, di fatto, non ci è più dato sapere. L’unico messaggio lasciato dal padre prima di togliersi a sua volta la vita è in un biglietto: «Bruciateci e metteteci insieme ad Annamaria» – la moglie, morta 15 anni prima.

Sappiamo che le indagini sono ancora in corso, e speriamo che la verità emerga.
È difficile però escludere l’incapacità di quest’uomo di accettare la sessualità e l’affettività della figlia come possibile causa di un atto così efferato, con cui ha voluto cancellare sé stesso e la vita della ragazza. Una dinamica tipica di molti casi di violenza contro le donne, in cui la possibilità di autodeterminarsi, di fare le proprie scelte, di vivere una propria vita indipendente da quella del padre/marito/compagno, non viene nemmeno considerata.
Tra l’incapacità della stampa di parlare di lesbismo in maniera corretta e i commenti indignati dei lettori, chi per la tragicità del fatto, chi per lo sciacallaggio mediatico, non poteva mancare il classico: “Se l’è cercata”.

Quali che siano i risultati a cui arriveranno le indagini, il quadro che ne rimarrà non sarà comunque consolante. Purtroppo a fare da sfondo a questa vicenda restano un territorio e una società dove si può ancora essere insultati (o picchiati) per strada per il semplice fatto di essere gay o lesbiche, rimane un’Italia in cui il lavoro culturale e sociale fatto per abbattere i pregiudizi e gli stereotipi di genere è ancora agli inizi, e in cui questo lavoro è costantemente minacciato da chi ritiene che l’omotransfobia non sia un problema, o peggio ancora da chi vorrebbe impedire ogni educazione alle differenze per restaurare un modello unico di famiglia e di sessualità, e un modello di donna ancora (o ancora di più) sottomessa.

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