Attualità di Comizi d’Amore, e della riflessione di Pasolini su sessualità e consumo
Nella produzione di Pierpaolo Pasolini, Comizi d’Amore è solo apparentemente un film minore, una raccolta parziale di testimonianze: i cambiamenti sociali che emergono dal film sono infatti il punto di partenza per un suo percorso di analisi che sfocia, più di dieci anni dopo, nelle prese di posizione degli Scritti Corsari, e nella sua lettura della società moderna e del suo modo di vivere il “problema del sesso”.
Su una spiaggia toscana, Pasolini intervista un giovane scapolo e un padre di famiglia, e pone loro una domanda ancor oggi scomodissima per il pensiero dominante: “Secondo voi, il matrimonio risolve il problema del sesso?”. Da questo piccolo frammento di Comizi d’Amore emergono due posizioni paradigmatiche: quella del giovane, che risponde con foga progressista (e sostiene entusiasticamente il divorzio, anche soltanto per “ragioni sessuali”), e quella del padre che, col figlio in braccio, afferma “senz’altro” la validità dell’istituzione familiare, senza argomentare in nessun modo, solo appoggiandosi su una sua evidenza esistenziale del bene e del male.
Qui e altrove Pasolini riesce a cogliere i segni del cambiamento in atto nel modo di vivere il sesso in quell’Italia del boom economico di cui, anni dopo, rileverà l’irreversibile “mutazione antropologica”. La nuova cultura, qui incarnata dal giovane scapolo, è una cultura che di sesso ne parla molto e volentieri, ma soprattutto per evidenziare la differenza fra sé e l’arretratezza dei modelli tradizionali. I contenuti sono meno importanti rispetto a questo bisogno quasi impaziente di parlare, di rompere il silenzio dei vecchi tabù per sostituirlo con una cortina di parole colorate di una generica tinta liberale e progressiva.
Nei confronti di questa nuova cultura e delle sua promesse di libertà e benessere, Pasolini è molto diffidente. La sua posizione in merito, tuttavia, si definirà meglio negli anni successivi, fino ad articolarsi nell’analisi complessiva della “mutazione antropologica” quale si evince dagli Scritti Corsari, pubblicati dieci anni dopo Comizi d’amore. Nel nuovo parlare di apertura e di progresso Pasolini vede la prospettiva dell’affermarsi della tolleranza, che concepisce come un volto della repressione e una forma di controllo (non per nulla Foucault, recensendo Comizi a quindici anni di distanza, intitolerà il suo articolo I mattini grigi della tolleranza). In questo allargamento delle forme di esistenza tollerate vede un fenomeno funzionale all’ideologia edonistica del consumo, in cui legge una forma strisciante di fascismo che, poiché non è identificabile in individui in carne ed ossa, ma è rintracciabile nelle forme dei discorsi e della vita materiale, chiama genericamente “il nuovo Potere”.
“L’identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti «moderni», dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente, ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all’edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto. Dunque questo nuovo Potere non ancora rappresentato da nessuno è dovuto a una «mutazione» della classe dominante, è in realtà una – se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia – una forma «totale» di fascismo. Ma questo potere ha anche «omologato» culturalmente l’Italia: si tratta dunque di una omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l’imposizione dell’edonismo e della joie de vivre.”
(da 24 Giugno 1974. Il vero fascismo e quindi il vero antifascismo, in Scritti Corsari, Garzanti, Milano 1975)
Come una società «permissiva» possa essere repressiva, è espresso molto chiaramente in un altro passo degli Scritti corsari, a partire da una battuta di uno dei personaggi del film Salò o le 120 giornate di Sodoma: «In una società dove tutto è proibito, si può fare tutto: in una società dove è permesso qualcosa si può fare solo quel qualcosa».
Che cosa permette la società permissiva? Permette il proliferare della coppia eterosessuale. E’ molto e giusto. Però bisogna vedere come in concreto ciò avviene. Intanto, ciò avviene in funzione dell’edonismo consumista (per adoperare parole ormai «franche», poco più che sigle): cosa che accentua fino all’estremo limite il momento sociale del coito. Inoltre ne impone l’obbligo: chi non è in coppia non è un uomo moderno, come chi non beve Petrus o Cynar. […] Al di fuori, comunque, di quel «qualcosa» che la società permissiva permette, tutto è ripiombato – a scorno degli ideali progressisti e della lotta dal basso – nell’inferno del non permesso, del tabù che produce riso e odio. Si può continuare a parlare dei «diversi» con la stessa brutalità dei tempi clerico-fascisti: solo che, ahimè, tale brutalità è aumentata in ragione dell’aumento della permissività riguardante il coito normale. […] le élites di persone tolleranti hanno dimostrato chiaramente che la loro tolleranza è solo verbale: che in realtà li soddisfa pienamente l’idea di un ghetto dove mentalmente relegare i «diversi» (a far l’amore con chi?), e dove vederli come «mostri» in permesso.
(da 1° Marzo 1975. Cuore, in Scritti Corsari, Garzanti, Milano 1975)
Che la nuova cultura sia loquace e insieme repressiva, e che la repressione non colpisca soltanto i «diversi», ma tutti nella loro sfera sessuale, è esemplificato chiaramente in un altro punto di Comizi d’Amore, nella sezione intitolata “Il sesso come hobby”. Alla domanda “Lei, dal punto di vista sessuale, si sente più focoso di un meridionale o no?” un milanese risponde prontamente: “Direi di no, perché in genere noi lombardi siamo più tranquilli, più equilibrati, e poi per ragioni di educazione e… di impegni di lavoro: trascuriamo di dedicarci ad attività che non sono strettamente di lavoro…”.
Dalla contrapposizione nord-sud, proposta da Pasolini nella sua domanda, emerge una cesura più storica che geografica: la nuova cultura, qui rappresentata dal giovane milanese, è una cultura in cui il sesso è «liberato» perché se ne può parlare, però è «represso» perché nel discorso è ridimensionato fino a farne accessoria dell’esistenza umana, da asservire alle esigenze del lavoro, del guadagno e del consumo. Questo asservimento di tutte le dimensioni dell’esistenza umana ad un Potere senza nome e senza rappresentanti in carne ed ossa, che si identifica nel modello economico del consumo, è l’assunto di fondo dell’interpretazione di Pasolini della “mutazione antropologica”.
Comizi d’Amore è un film del 1963. L’ondata rivoluzionaria del ’68, gli eventi del ’69 a Stonewall, e le sperimentazioni fantasiose degli anni ’70 in Italia dovevano ancora avere luogo. E’ significativo però notare che il modello di sessualità che si stava imponendo, di carattere edonistico-consumistico-repressivo, riesce a spiegare abbastanza bene anche la nostra epoca. Lo schema permissivo-repressivo sembra aver attraversato quasi indenne l’esperienza della contestazione e delle sperimentazioni degli anni Settanta: ne ha inglobate alcune parti, ma sembra essersi reimposto come modello unico a partire, più o meno, dagli anni ’80. A dimostrarlo, basta notare che ancor oggi molte delle domande di Pasolini risulterebbero piuttosto provocatorie (“Il divorzio soltanto per ragioni sessuali?” “Esiste un limite preciso fra normalità e anormalità sessuale?” “Ha mai provato qualcosa che assomiglia al feticismo?” “Il libertinaggio è una aberrazione sessuale o una scelta morale?”).
Fra quelle poste nel film, le domande a cui oggi verrebbero date risposte più diverse da quelle registrate nel film sono forse quelle sul “problema dell’omosessualità”. Nel film, infatti, gli intervistati su questo tema non mostrano pressoché nessuna apertura, sicché quella sezione diventa una sorta di fenomenologia dello “scandalizzarsi”. Oggi, invece, un Pasolini troverebbe molti più interlocutori disposti a parlare apertamente di omosessualità e in generale di esistenze LGBT*, sia pure non sempre con posizioni di apertura. Questo, tuttavia, non sembra in contraddizione con i pronostici di Pasolini; anzi, si potrebbe dire che conferma la tesi della tolleranza.
Oggi, infatti, un Pasolini forse rileverebbe che le diversità sessuali, dopo una prima fase di visibilità prorompente, rivoluzionaria, iniziata con i moti di Stonewall, sono state fatte oggetto – si può dire – di una progressiva integrazione nel sistema economico tardocapitalistico. E’ stato cioè permesso alle esistenze LGBT* di essere visibili e e di chiedere diritti, sia pur talvolta vedendoseli negati, e di integrarsi progressivamente nella società. Tale integrazione è stata concessa loro a patto che si sfrondassero delle componenti considerate più inaccettabili e che rinunciassero a mettere in discussione gli schemi di organizzazione sociale complessiva, in un compromesso fra la vecchia morale e il nuovo, seduttivo totalitarismo del consumo.
Pasolini è stato assassinato nel 1975, quando ancora molti dei fenomeni che descriveva ancora non si erano realizzati in modo così evidente come in seguito. Il suo era un pensiero in continuo divenire: la brusca fine della sua vita ne fa un pensiero interrotto, quasi un frammento di sociologia che non arriva a spiegare del tutto la società odierna. Tuttavia, molte caratteristiche del mondo di oggi sono evidentemente in linea con quanto lui osservava, e prevedeva. Per questo una riflessione sulle sue opere sembra utilissima all’analisi del presente, alla comprensione del futuro e all’azione per la trasformazione.