Incrociamo le braccia – Infrociamo le lotte
Venerdì 14 Novembre scioperiamo socialmente per reclamare un reddito che non ci viene garantito.
Il lavoro, tradizionale o precario, è sottopagato, assente o gratuito. Basti pensare ai sempre più diffusi stage, che nascondono dietro istanze formative lo sfruttamento del lavoro non salariato; al volontariato che gestisce le richieste di assistenza e intervento sociale che dovrebbero essere garantite dal welfare pubblico; ai datori di lavoro che pretendono reperibilità e mansioni extra rispetto a quanto viene poi corrisposto.
Ogni giorno siamo circondati da lavoro non retribuito. Ci viene chiesto come un favore, per gentilezza, ma in realtà ci impone di dare piena disponibilità delle nostre vite sotto il ricatto di non vedersi rinnovato il contratto o con la ricompensa di una promessa (farai carriera, ti troverò un posto, farai esperienza).
Le persone LGBTI vivono da tempo una condizione di eterna adolescenza imposta, a causa del mancato riconoscimento delle loro identità e dei loro affetti, della loro volontà di costituire famiglie e di poter contare su una rete riconosciuta di supporto esistenziale e materiale. Ora questa condizione diventa universale, venendo a mancare per tutt* anche la possibilità di realizzarsi e sostentarsi individualmente tramite il lavoro, il passaggio a una condizione ‘adulta’ di stabilità e di autodeterminazione diventa sempre più un miraggio per chi non ha le spalle coperte.
La discriminazione sociale si incrocia con quella sessuale, i lavoratori e le lavoratrici LGBTI si trovano quindi doppiamente discriminati, doppiamente ricattabili e sfruttabili.
La necessità di nascondere il proprio orientamento sessuale per evitare situazioni di discriminazione e di mobbing è ancora il problema più diffuso per molte persone gay e lesbiche. Anche se il più delle volte dopo il coming out le cose migliorano nella rete dei rapporti, compresi quelli lavorativi, molto dipende dall’ambiente in cui si lavora e ancora oggi omosessuali e bisessuali continuano a subire più discriminazioni sul lavoro degli eterosessuali (22,1% contro il 12,7% secondo l’ISTAT). A poco servono le recenti introduzioni di normative contro la discriminazione basata sull’orientamento sessuale, quando la riforma dell’art. 18 permetterà di mascherare queste discriminazioni dietro a motivazioni economiche. Non parliamo poi delle persone transessuali e transgender, che continuano a subire un fortissimo blocco all’ingresso, specialmente quando il genere anagrafico non corrisponde con quello esibito.
Nella precarietà questi problemi sono ancora più gravi, perché avendo meno garanzie si subisce più fortemente il ricatto di dover ogni volta fare affidamento sulla “ampiezza di vedute” dei propri datori di lavoro, e dovendo cambiare spesso ambiente ci si ritrova ogni volta a dover ripetere il percorso del coming out per gradi: tastare il terreno, individuare le colleghe e i colleghi più friendly a cui dirlo prima, con tutti i rischi connessi volta per volta.
Per questi motivi, anche come persone LGBTI, non possiamo che aderire alle istanze dello sciopero sociale, contro la moltiplicazione del precariato introdotta dal jobs act, contro la pratica del lavoro servile e gratuito, per il reddito di base e il salario minimo europeo.