International Non-Binary People’s Day 2021 | TESTO DELL’INTERVENTO

Rivisitato il motto della Rivoluzione francese per parlare di rivendicazioni Non-Binary:

LIBERTÀ, VISIBILITÀ, INTERSEZIONALITÀ

Le persone non binarie hanno un genere che non ricade nelle tradizionali categorie di “uomo” e “donna”. Accade in modo molto variegato: c’è chi ha una posizione che ricade da qualche parte tra quella maschile e quella femminile, chi una completamente fuori, chi un misto, chi nulla. Una persona che sa o si accorge di avere un genere fuori dal binarismo deve “crescersi da sola” perché, per quanto riguarda il sesso e il genere, gli unici modelli forniti dalla nostra società sono “maschio e femmina”.

In occasione della giornata per le persone nonbinarie, visto il clima attuale del mondo LGBTQIA+ in Italia, toccherà spendere due parole sul DDL Zan (“disegno di legge contro l’omobitransfobia, la misoginia e l’abilismo”). Assicurare la libertà di tuttə noi è fondamentale, e per farlo bisogna ovviamente contrastare chi vuole toglierci questa nostra libertà. Per questo forse è un bene che la discussione sul DDL sia scottante e accesa, visto che potrebbe segnare una svolta culturale, simbolica e non indifferente. Tuttavia, non saremmo qui se la situazione fosse così semplice. Le critiche ci sono, e sono valide, in particolar modo quella riguardante le definizioni ai fini della legge. Si parla di “sesso opposto” e di “entrambi i sessi”: un ulteriore chiodo sulla tradizione binaria italiana. Come può una legge difendere i diritti di persone la cui esistenza non viene neanche riconosciuta, le persone di genere nonbinario o quelle intersessuali?

In questo momento in tutta Italia c’è una mobilitazione di collettivi, associazioni e reti di persone LGBTQIA+ perché, in Senato, dal DDL Zan vorrebbero addirittura togliere “identità di genere”, che è l’unico termine del diritto italiano assodato che fa riferimento alle persone trans, con la scusa che “sdoganerebbe 50 generi”: benché il testo non nomini le persone nonbinary, esse vengono in qualche modo strumentalizzate dalle destre per affossare il provvedimento.

La riflessione forse dovrebbe espandersi sul modo, oltre che sul contenuto. Di fatto, il DDL “aggiunge” una limitazione basandosi sul sistema attuale, con il tentativo di renderlo più inclusivo. È una sorta di “integrazione” di alcune delle categorie dell’ombrello LGBTQIA+ nella sfera di categorie che vanno protette da discriminazione. Un sistema libero però non è un sistema in cui le differenze sono integrate e basta; vanno contrastate le strutture di potere stesse, perché sono quelle a far vacillare la libertà, essendo scritte e pensate per salvaguardare il potere preesistente.

Affinché una minoranza venga tutelata, è necessario imparare a comprenderla. Tuttavia, è chiaro che lo Stato non solo non voglia determinate tutele, né promuova il fascino o il valore della diversità: addirittura, il sistema attuale è pericoloso per la stessa sopravvivenza delle persone al di fuori del binarismo. Gli unici generi riconosciuti sulla carta d’identità sono maschio e femmina; vengono assegnati alla nascita, e pur di incasellare in questi box invisibili vengono applicate chirurgie e mutilazioni genitali alle persone intersessuali, con una conformazione dell’apparato riproduttivo troppo lontana dallo standard. Come se non bastasse, passare anche solo all’ “altro genere”, da femmina a maschio o viceversa, prevede un iter lungo, vergognoso e persino pericoloso. È ancora prevalente il protocollo ONIG (“Osservatorio Nazionale Identità di Genere”), per cui le persone trans che intendono fare transizione devono prima passare un periodo “vestendosi del genere opposto”. Un protocollo di questo tipo non tiene conto di tanti aspetti della vita trans: un ambiente che ci discrimina; una identità complessa; la differenza tra identità ed espressione; la differenza tra sesso e genere; l’esistenza di persone il cui genere non è conforme all’espressione binaria.

Di fatto, piuttosto che promuovere l’auto-consapevolezza, il sistema attuale non fa altro che rendere il più difficile possibile presentarsi come si vuole e proseguire per la propria strada in autonomia. Per quanto riguarda i caratteri sessuali primari, secondari, e gli effetti degli ormoni sessuali, sarebbe molto più utile e rispettoso per ogni persona, cis e trans, determinare i trattamenti medici in base allo stato di salute, al rapporto costo/beneficio, e ai risultati che la persona desidera ottenere, non in base agli standard di riferimento maschili o femminili. I farmaci sono unisex, tranne quelli che influenzano i caratteri sessuali: non si può usare una formulazione per le patologie della prostata su una donna cis che ha l’alopecia, anche se il principio attivo è lo stesso e costerebbe molto meno. Perché un medicinale per uomini non si può usare per le donne.

Risale all’anno scorso il riconoscimento delle persone trans come destinatarie di un trattamento medico in quanto trans, in particolare la possibilità di prescrivere ormoni maschili a persone con documenti F (AFAB, “Assigned Female At Birth”) e viceversa, a carico del SSN. Prima, questa possibilità era ufficialmente preclusa e si faceva tutto “off label” e pagandolo. In ogni caso, non esistono trattamenti ormonali creati per le persone trans in transizione, è solo che risultano efficaci anche dei trattamenti destinati a persone cis (menopausa, pillole anti-concezionali, trattamenti per ipogonadismo) perché i principi attivi sono gli stessi. I trattamenti vengono prescritti avendo come obiettivo i livelli ormonali di una persona cis e una completa “femminilizzazione” o “mascolinizzazione”. Questo non va bene per una persona non-binary, che potrebbe desiderare risultati meno evidenti e meno binari, appunto. Bisognerebbe mettere a disposizione il trattamento più utile per ogni persona, semplicemente.

Quell’utilità viene sacrificata in nome di un’idea più alta, il “genere binario”, e oltre all’utilità si sacrifica anche la libertà delle persone intersessuali di poter scegliere se avere una chirurgia o no. Sempre in nome di quest’idea pura e intoccabile, i protocolli come quello ONIG che “regola” la transizione sono approvati e considerati come naturali, nonostante sia palese il loro contributo nello stigma e nella discriminazione contro le persone transgender, binarie e non.

Per dare un altro esempio, è molto acceso il dibattito sul linguaggio inclusivo, chi prediligendo la schwa, chi la u, chi altri modi per sostituire il maschile plurale. È indubbio che sia retaggio di una cultura patriarcale, secondo cui il maschio viene prima della femmina. Ciononostante, quando anche accade il miracolo che il dibattito si spinga nei media mainstream, non solo l’opinione conservatrice enfatizza l’intoccabile sacralità della grammatica, ma anche dal lato “progressista” accade di rado che si parli di come il linguaggio inclusivo sia FONDAMENTALE per le persone nonbinarie. Nelle lingue come la nostra siamo forzatə a scegliere un pronome rispetto ad un altro. Se non lo facciamo, comunicare diventa significativamente più difficile. Magari lo si impara: ormai mi viene naturale sconvolgere la struttura della frase per evitare il più possibile pronomi e desinenze. Però non solo ciò limita fortemente la nostra espressività, e quindi è poco pratico; è anche altamente offensivo nei nostri confronti. Quand’è che il mio diritto di ESISTERE verrà elevato sopra la grammatica, che non è altro che un costrutto sociale? Perché una semplice “idea” deve essere sempre più importante della mia stessa identità?

Ma ancora, la semplice aggiunta di un neutro nella lingua italiana potrebbe rischiare di ottenere solo l’integrazione di chi ha bisogno di un pronome, piuttosto che una vera inclusione. Un approccio più inclusivo potrebbe essere abbandonare direttamente il genere nella lingua come sta succedendo in inglese e come è già da secoli in finlandese. Uno dei lati più positivi del ridisegnare costrutti come il linguaggio in chiave inclusiva è l’utilità che questo ha anche per chi non è attualmente “incatenatə” dai rapporti di potere che verrebbero stravolti.

Chi è nella comunità transgender sa bene che noi subiamo un processo di internalizzazione dei ruoli di genere, che procede dall’infanzia per tutta la vita. Una lingua libera da questi limiti permetterebbe anche alla nostra mente di spezzare quelle catene, e potremmo inseguire un’idea della nostra identità veramente più libera. Se il genere è meno pressante, anche le femmine e i maschi cis subiscono meno pressioni dovute a mascolinità o femminilità. Un impianto inclusivo permetterebbe di valorizzare la PERSONA, non la categoria, e sarebbe davvero un design più libero.

Così come per il linguaggio, per il sesso e per la transizione, è un discorso che può valere per ogni ambito della vita, e le persone nonbinarie non sono solo categorie da proteggere, ma anche strumenti per individuare quegli aspetti del nostro mondo che sono escludenti. Riconoscendo i bisogni e il potenziale delle persone nonbinarie, possiamo iniziare a farci più domande, come il significato della divisione per genere nelle file elettorali, quella dei bagni pubblici, fino ad arrivare al genere sulla carta d’identità. La risposta a quelle domande è il passo verso un mondo inclusivo e libero.

La potenza dell’identità nonbinary è anche quella: sottolineare come l’uguaglianza non sia solo tutela delle differenze, ma anche la valorizzazione di ogni singola diversità. Spesso non è facile per una persona nonbinary disimparare il genere binario che è stato interiorizzato durante la vita. Però, dopotutto, ne vale la pena, perché il risultato è la piena realizzazione della propria, particolarissima identità, e forse non c’è niente di più libero. Vale per le persone nonbinarie come per ogni altra categoria, minoranza e non. Come Stato dovremmo sforzarci di più per valorizzare e celebrare queste riflessioni e promuovere questa metamorfosi del corpo sociale . Ma invece di dare visibilità a queste storie e concentrare i nostri sforzi sul vero progresso della specie umana, siamo ancora qui a ragionare su come far finta di rendere più inclusiva questa base patriarcale, binaria e capitalista.

Lo vediamo col covid, ora che ci ritroviamo per l’ennesima volta in una crisi economica dove alle classi povere è preteso di rimboccarsi le maniche, mentre quelle ricche si fanno sempre più ricche, e più il bisogno di un equilibrio si fa evidente più la classe potente inasprisce la sua presa. Lə imprenditorə non trovano camerierə, e invece di spostare il discorso su un salario minimo dignitoso, su un reddito di base universale o su altre soluzioni pensate per la classe operaia o per la popolazione tutta, si pensa a come rendere la nostra vita ancora più difficile e si dà la colpa al reddito di cittadinanza.

L’invisibilità e il silenziamento sono promossi anche in maniere subdole ed implicite, come è accaduto con l’esempio di Adil Belakhdim, sindacalista assassinato durante uno sciopero contro le pessime condizioni di lavoro della Lidl. L’autista di un camion lo ha investito uccidendolo, dopo un alterco perché lə scioperanti non lo facevano passare. Sono molte le motivazioni che potrebbero aver spinto l’autista, e forse si scopriranno solo a processo. La più grottesca sarebbe se in quel momento, per lui, la “fretta” a cui sono tipicamente costretti i camionisti avesse assunto priorità sulla vita di una persona. Sarebbe un esempio di come diverse oppressioni possano incontrarsi e venire messe l’una contro l’altra fino alle conseguenze più nefaste. Ma quest’esempio non deve scoraggiarci, bensì spingerci a protestare insieme, perché se ogni singola lotta è intrecciata, le lotte possono anche unirsi! Rifiutiamo categoricamente qualsiasi guerra tra poverə e ogni contrapposizione tra diritti civili e sociali: solo così possiamo liberarci tuttə!

La lotta per le persone nonbinarie è una lotta per la libertà, ed è comune a ognunə di noi. Non può avere successo senza quindi un’ottica intersezionale. La lotta di genere, di classe, di etnia, sono tutte lotte per la libertà; in quanto tali, non possiamo dimenticarne una mentre ci occupiamo di un’altra. Ogni singola persona sulla Terra non ha nulla da perdere nella sensibilizzazione e consapevolezza sui temi nonbinary, se non – permettete la citazione – le catene che la legano al binarismo di genere. Noi continuiamo a professare il fascino e il valore della diversità, a contestare il potere e a pretendere di vivere la nostra libertà. Sicuramente col passare del tempo darà vita a un mondo più libero e felice.


Testo scritto in collaborazione con Frances Cibelli, che ringraziamo tanto!

Il testo è stato letto durante l’International Non-Binary People’s Day 2021 | Padova  presso il ✪ DESCANTÀRSE 2021 ✪ | Catai Fest.

L’immagine è una rivisitazione in chiave non-binary del famoso dipinto di Eugène Delacroix “La Libertà che guida il popolo”.

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