Apprendiamo con sconcerto, dolore e rabbia che martedì a Roma un ragazzo di soli 15 anni si è tolto la vita dopo essere stato ripreso da un’insegnante per aver usato uno smalto per le unghie, un gesto estremo a cui Davide (il nome è di fantasia) è giunto dopo essere stato costretto per un anno a sopportare gli scherni e i commenti omofobi dei suoi compagni di classe, che lo chiamavano “il ragazzo dai vestiti rosa” e si erano spinti persino a creare una pagina facebook, al solo scopo di poterlo prendere in giro pubblicamente.
Si tratta dell’ennesimo caso di un ragazzo che non è riuscito a sopportare un mondo ostile, una realtà che non gli ha lasciato vivere la propria vita ed esprimere liberamente se stesso.
Non ci sono però scuse, perché a portarlo alla morte non sono state semplicemente le offese che ha ricevuto. Se quelle offese non fossero state condivise dalla società che ci circonda, non avrebbero potuto ferirlo così profondamente.
In Italia esiste un grave problema di omofobia che è prima di tutto culturale.
Quanti avranno pensato che in fondo se si vestiva di rosa un po’ se la cercava? Quanti avranno creduto di aiutarlo consigliandogli di nascondere quello che sentiva di essere? Quanti (soprattutto tra docenti e genitori) si sono voltati dall’altra parte, o ancor peggio hanno dato ragione a chi rendeva la sua vita un inferno? Quanti si sono sentiti in diritto di offendere una persona per come si vestiva o per quello che sentiva, autorizzati dal contesto che li circondava a difendere la loro normalità?
Le scuole e le università dovrebbero essere laboratori di una cultura rispettosa e inclusiva di tutte le differenze, siano esse di genere, di orientamento sessuale, razza o religione. Il fatto che questa notizia arrivi durante l’autunno caldo delle scuole e accada proprio a Roma dovrebbe farci riflettere, tutti, su che luoghi costruiamo, che spazi di confronto e partecipazione apriamo, quanto riusciamo realmente a essere e promuovere un modello culturale differente da quello che contestiamo. Difendere l’istruzione pubblica non basta più. Dobbiamo ripartire dalle nostre scuole per costruire un mondo nuovo, in cui nessun 15enne sia costretto ad impiccarsi semplicemente perché gay.
Di fronte ad un gesto di tale gravità diventa ancora più assordante il silenzio delle istituzioni e ancora più intollerabile la perdurante ostilità di buona parte della classe politica italiana, che solo pochi giorni fa ha bocciato per l’ennesima volta l’estensione della legge Mancino ai reati d’odio basati sulla discriminazione a causa dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.
Si impone inoltre la necessità di promuovere, a livello nazionale e locale, nella pubblica amministrazione e nei diversi servizi, campagne forti di sensibilizzazione per combattere l’omofobia e la transfobia sociale e culturale, che perdurano nel nostro paese, traendo linfa dal silenzio delle istituzioni quando non addirittura dall’esplicito incitamento all’odio di una parte della classe politica.
In particolare, è indispensabile e urgente porre in atto interventi nelle scuole, coinvolgendo le associazioni operanti nel settore, tramite i quali sensibilizzare i giovani e gli insegnanti sui temi dell’omofobia e della transfobia. Solo attraverso un deciso intervento legislativo e soprattutto culturale possiamo sperare che tragici eventi come quelli di Davide non accadano più.
Per chiunque sia indignato e scosso di fronte a questo fatto condividiamo l’invito su facebook a cambiare la propria immagine di profilo in rosa. Invitiamo anche tutti, nei prossimi giorni, a indossare qualcosa di rosa. Per portare questa protesta anche nella vita reale.
Per solidarietà a questo ragazzo, e per protestare perché in Italia non c’è ancora una legge contro l’omofobia, perché nelle scuole italiane si dovrebbe insegnare il rispetto, l’inclusività, e non tollerare o incoraggiare la discriminazione, il bullismo, l’emarginazione.
Oggi per noi il rosa è il colore della rabbia.